domenica 6 febbraio 2011

L'e-book e il libro: quale relazione?

Cory Doctorow sostiene che la competizione tra e-book e libro tradizionale non ha senso, in quanto tra i due tipi di supporto non deve sussistere alcuna relazione di emulazione. Il formato e-book ha un senso solo se la liquidità e la fruibilità maggiormente libera dei testi risultano essere una forza nuova, che permette utilizzi alternativi degli apparati testuali, funzionali a nuovi scopi e nuove esigenze degli utenti, mentre se fosse soltanto un’imitazione digitale del formato libro cartaceo non avrebbe alcuna ragione di esistere.
Anche la questione della superiorità o inferiorità di un supporto rispetto all’altro è fuori luogo: infatti e-book e libro cartaceo richiedono un utilizzo diverso e modalità cognitive diverse, da un differente tipo di attenzione a un differente modo di visualizzazione. Queste diversità li rendono due modi distinti di fruire dei testi, nessuno dei quali risulta superiore all’altro, bensì al massimo più comodo e funzionale  rispetto alle esigenze di alcuni lettori piuttosto che altri, principalmente in base alle loro abitudini cognitive.
“Computers have their own cognitive style, and it’s not much like the cognitive style invented with the first modern novel (one sec, let me goggle that and confirm it), Don Quixote, some 400 years ago.”
Cory Doctorow, Content, 2008, www.jus.uio.no
Come ha sostenuto Walter Benjamin, le tecniche di riproduzione dei testi in sé non sono né buone né cattive: io aggiungo che tutto sta nel valutare come e con quanto successo esse si adattano ai nostri meccanismi cognitivi, alle nostre esigenze e alle nostre abitudini culturali di rappresentazione, classificazione e conservazione delle conoscenze. 


Con queste riflessioni non voglio banalizzare il tema della rimediazione digitale del libro, che effettivamente pone problemi di ordine pratico ed è un buono spunto per interrogarci sul futuro culturale e sulla memoria della nostra società: il discorso merita di essere approfondito, il fatto stesso che l’entrata in scena degli e-book susciti clamori e timori ne è una conferma – a questo proposito, in marzo 2011 è in programma in Italia un convegno emblematicamente sottotitolato “Il futuro dei libri, i libri del futuro". Semplicemente ritengo molto poco probabile che l’e-book rivoluzioni le nostre vite di lettori portandoci di colpo a consumare soltanto testi digitali. È vero, la maggior parte di noi oggi passa la maggior parte del suo tempo di fronte a uno schermo (o a degli schermi), un gran numero di cose che leggiamo sono in formato digitale, ci procuriamo le applicazioni mobile per l’editoria più avanzate e siamo curiosi di sperimentare gli e-book, ce ne compriamo uno per vedere che effetto fa e ne parliamo entusiasticamente con gli amici. È vero, anche senza arrivare all’e-book il 90% dei libri che abbiamo letto e studiato nell’ultimo anno ci aspettavano sul nostro computer in formato PDF. Ma questo non ha nulla a che vedere con il fatto che il digitale sia davvero il formato che preferiamo, nella maggior parte dei casi è soltanto una questione di maggiore comodità e velocità. Perciò non c’è ragione per la quale cartaceo e digitale non dovrebbero convivere pacificamente: per lavorare possiamo usare i formati elettronici più disparati, questo non ci impedirà di rilassarci la sera in poltrona con un bel romanzo dalla copertina sgualcita,    allo stesso modo per viaggiare in treno in compagnia dei nostri libri preferiti senza trascinarci dietro chili e chili di carta possiamo usare l’e-book, ma nulla ci impedisce di tornare quando vogliamo alle amate copie cartacee. La possibilità di scegliere tra più formati non va vista come un pericolo, ma come un arricchimento delle nostre possibilità, arricchimento che sta a noi valutare. Per altro il fatto che l’e-book, così come è concepito oggi e veicolato dai supporti attualmente disponibili, risulti vincente per comodità di utilizzo rispetto al modello tradizionale è tutto da stabilire (oltre alla questione cognitiva dell’usabilità, ci sono variabili sociali, economiche e culturali da ponderare). Quindi evitiamo atteggiamenti catastrofisti o entusiastici rispetto a una futura presunta scomparsa dei libri cartacei e godiamoci piuttosto la possibilità di poter usufruire degli stessi contenuti in nuove forme.

venerdì 4 febbraio 2011

Lettura e documentalità

Le pratiche di lettura e di scrittura possono essere considerate risposte a una precisa esigenza cognitiva, culturale e sociale dell’umanità: il bisogno di registrare e catalogare i fatti e le identità, per evitare l’oblio. Secondo Maurizio Ferraris l’esplosione della scrittura e della registrazione, resa possibile nel mondo contemporaneo dai nuovi supporti tecnologici, testimonia proprio questa nostra esigenza di documentazione e registrazione, che rappresenta il mal d’archivio della nostra epoca.
In Documentalità. Perchè è necessario lasciar tracce, Ferraris sostiene infatti che gli innumerevoli oggetti sociali che costituiscono il nostro contesto quotidiano sono sempre il risultato di atti sociali di iscrizione (su carta, su file informatici o anche soltanto nelle menti delle persone). Mentre secondo John Searle la realtà sociale è creata dall’intenzionalità collettiva attraverso l’immaginazione e la rappresentazione di oggetti sociali, Ferraris sostiene invece che gli oggetti sociali nascono soltanto con la loro iscrizione, ovvero con la creazione da parte delle persone di documenti che ne creano l’identità e ne certificano l’esistenza, permettendone il riconoscimento. Il denaro è un documento, come il matrimonio, come la mia identità – che infatti certifico scrivendo il mio nome su supporti, firmandoli, documentando così il mio passaggio.
Al di fuori delle dimensioni testuali, prodotte attraverso la documentazione scritta di atti, non esiste in fondo alcuna realtà sociale. Inconsapevolmente consci di tutto questo, sentiamo il bisogno di registrare ogni avvenimento per garantirne la sopravvivenza.
A sostegno della tesi della documentalità, si può osservare come lo sviluppo recente degli strumenti tecnologici ci permette di scrivere, registrare e classificare informazioni e contenuti di ogni tipo, creando archivi sempre più imponenti che ci mettano al sicuro dall’ansia dell’oblio. L’informatizzazione delle miriadi di dati in nostro possesso innegabilmente insegue un sogno del genere, quello di poter disporre dell’intera realtà e di tutte le nostre conoscenze nell’ordine da noi deciso all’interno di un unico supporto. Allo stato attuale, secondo Ferraris, perseguiamo soprattutto la produzione di dispositivi tecnologici che possano funzionare come estensioni della nostra memoria, che è il vero ingrediente costitutivo di una realtà sociale iscritta. La società in cui viviamo, spesso definita società della comunicazione, è in realtà principalmente una società della registrazione.
Non è questa la sede per una discussione approfondita dell’interessante analisi metafisica, ontologica e sociologica condotta da Ferraris a sostegno della sua tesi. Quello che qui ci interessa è il fatto che, se accettiamo di caratterizzare in questo senso documentale la nostra società, vediamo come la lettura andrebbe a rappresentare il fondamentale strumento a disposizione del soggetto per orientarsi nel mondo sociale (che per altro andrebbe sempre più a coincidere con il mondo tecnologico), per decifrarne gli oggetti e per crearne di nuovi.

Maurizio Ferraris, Documentalità. Perché è necessario lasciar tracce, Laterza 2009
John Searle, The Construction of Social Reality, Free Press, 1995

mercoledì 2 febbraio 2011

Il libro e l'autore: chi non muore si rivede

Anche se volessimo barthesianamente identificare la contemporanea esplosione di creatività e autonomia dei lettori/ utenti con la morte dell’autore (punto di vista che comunque non mi pare condivisibile – vedi post precedente Utenti, lettori e autori), uno sguardo alle tendenze degli utenti web dimostra che la figura dell’autore risulta decisamente ancora in voga.
Tant’è che tutti vogliono essere autori. Scrivere un blog è un primo passo, la creazione è semplice e veloce grazie alle tante piattaforme che offrono questo servizio gratuitamente. Basta cliccare blogger.com, o wordpress.com, e via subito a esprimere i propri pensieri, trasformandosi da passivi utenti in creatori.

Anche il contatto dei canali d’informazione tradizionali, come i giornali, è reso più agevole dalla tecnologia: sono sempre di più i giornali che offrono la possibilità ai lettori di interagire
(un esempio ce lo fornisce La Repubblica di domenica scorsa, www.repubblica.it), e questo di per sé sembra positivo. Il discorso cambia quando la possibilità è direttamente quella di vedere pubblicati i propri pezzi (www.reportonline.it); qui evidentemente il prezzo da pagare per il fatto che chiunque può diventare reporter è la scarsa credibilità e affidabilità informativa di siti così costituiti.
Infine, meraviglia delle meraviglie, il sogno dell’ingenuo aspirante autore diventa realtà quando scopre il servizio di ilmiolibro.it: la possibilità di autoprodurre e stampare il proprio libro è ora alla portata di tutti, quello che era un percorso difficile di conquista dell’attenzione di un editore grazie alla propria bravura e un riconoscimento da parte di autorevoli terzi dell’interesse del proprio lavoro diventa una facile autogratificazione fine a se stessa. Per chi invece, rifiutando la commercializzazione del prodotto libro, volesse sfuggire alla logica del mercato dell’editoria senza rinunciare a creare, a essere autore, è sempre il web a offrire soluzioni: ci sono idee imprenditoriali come quella di Troglodita Tribe, dove la promessa di togliere il libro e l’autore dalla logica del marketing porta con sé l’ovvia ricaduta in una diversa forma di commercio (l’etichetta Società per Azioni Felici basta a darne un’idea).

Se ci si prende la briga di dare un’occhiata ai link proposti e alle tante altre occasioni di interazione che popolano la rete, risulta chiaro come simili tentativi di semplificare e mettere alla portata di tutti l’esperienza di essere autore non riescono nel loro intento, e la figura del vero autore può rimanere viva e stimata, resa ancora meglio riconoscibile dai fallimentari tentativi di imitazione.
Questa riflessione vale per tutti gli esempi citati sopra, con delle riserve per il fenomeno della diffusione dei blog, che merita un’attenzione specifica: creare un blog è una forma di espressione diversa, che non necessariamente vuole sostituirsi a né mettere in discussione le tradizionali figure di lettore e autore, ma semplicemente promuove la libera espressione e le possibilità di confronto con soggetti dai ruoli più disparati. Il blogger è autore, ma nella maggior parte dei casi non pensa a se stesso come all’Autore: io, per lo meno, mantengo una forte consapevolezza dell’abissale differenza tra me e Umberto Eco.
Ecco che quindi, con un utilizzo sano dello strumento blog, a nuove e positive possibilità di espressione si accompagnano tranquillamente il mantenimento della figura dell’autore tradizionale e la possibilità di valutare criticamente, di volta in volta, la credibilità di ogni fonte proponentesi come autrice di contenuti.

lunedì 31 gennaio 2011

Utenti, lettori e autori


Roland Barthes, nel saggio La mort de l’autor del 1968, anticipa la concezione della lettura come esperienza cumulativa e combinatoria. “Un testo è fatto di scritture molteplici, provenienti da culture diverse che intrattengono reciprocamente rapporti di dialogo, parodia o contestazione; esiste però un luogo in cui tale molteplicità si riunisce, e tale luogo non è l’autore, come sinora è stato affermato, bensì il lettore. Il lettore è lo spazio in cui si iscrivono, senza che nessuna vada perduta, tutte le citazioni di cui è fatta la scrittura, l’unità di un testo non sta nella sua origine ma nella sua destinazione […].” La lettura diventa quindi il luogo in cui i testi acquistano un senso,un senso plurale e mobile come i processi di conferimento di significato dai quali emerge. Il lettore è inteso come “quel qualcuno che riunisce in uno stesso campo tutte le tracce di cui è costituito lo scritto”, e “prezzo della nascita del lettore non può essere che la morte dell’autore”.
Barthes distingue anche tra testi realistici, che offrono al lettore significati chiusi, non manipolabili, e testi scrivibili, che rendono il lettore un produttore, incoraggiandolo a estrapolare e creare significati.

L’attualità della concezione di un lettore libero rispetto al testo è innegabile, viste le trasformazioni attuali del nostro rapporto con la cultura scritta, legate al trionfo dei supporti elettronici. Possiamo già dire di muoverci in un contesto fatto di testi scrivibili, manipolabili, utilizzabili, inseribili a piacere nelle diverse cronologie dei contenuti delle nostre riflessioni e ricerche. Come sottolinea Roger Chartier “la rappresentazione elettronica dello scritto modifica radicalmente la nozione di contesto e il processo stesso della costruzione di senso”: sciogliendo il legame tra il testo scritto e un unico supporto materiale “dà al lettore, e non più all’autore o all’editore, la padronanza della composizione, della suddivisione e dell’apparenza stessa delle unità testuali […].”

Nonostante Barthes non intendesse affatto profetizzare la civiltà del web 2.0, quanto piuttosto fare osservazioni sulla situazione culturale e editoriale del suo tempo, le sue riflessioni della seconda metà del XX secolo sono utilizzatissime oggi per descrivere la nostra realtà di lettori digitali.
Ci sono tuttavia alcuni punti di distanza tra la sua analisi e la situazione attuale, punti che vale la pena prendere in considerazione. Prima di tutto, nel mare del web in cui navighiamo (e davvero qui siamo il marinaio di Neurat, costretto a riparare la barca rimanendoci sopra e senza interrompere la traversata) ha più senso parlare di lettori, al plurale, che di singolo lettore; nello stesso istante in cui un utente fruisce di un testo sul web, quando ne fornisce il link o nel momento in cui ne utilizza i contenuti per scriverne sul proprio blog, molti altri utenti stanno probabilmente facendo lo stesso in diverse direzioni. Il luogo descritto da Barthes in cui la molteplicità di senso del testo si riunisce diventa quindi esso stesso un luogo plurale. Inoltre, l’ampliamento del ruolo dei lettori/ utenti e delle loro possibilità di azione sui testi non coincide necessariamente con la morte della figura dell’autore: anzi, con nuove forme e modalità, l’autorevolezza degli autori dei testi capaci di costruirsi una credibilità (processo complesso, al quale andrebbe dedicato un discorso a parte, in cui sono in gioco innumerevoli variabili culturali, storiche e sociologiche) può rimanere intatta anche in un contesto in cui tutti diventano produttori di informazione, se non addirittura uscire rafforzata dal confronto con l’abbondanza di fonti creative alternative considerate meno attendibili.

Roland Barthes, La mort de l’autor, 1968, trad. it. di B. Bellotto, La morte dell’autore, in Il brusio della lingua, Einaudi 1988

Roger Chartier, Lettori e letture nell’era della testualità elettronica, 2001 http://www.text-e.org

martedì 25 gennaio 2011

Qualche articolo a tema: la tentazione del link

Interessante intervento di Armando Massarenti su il Sole 24 ore del 2 gennaio 2011:
Si parla di nativi digitali, multitasking e conseguenti ristrutturazioni cerebrali, con il giusto grado di positività e entusiasmo, togliendo spazio a chi disegna scenari apocalittici di scomparsa di ingredienti costitutivi dell’intelligenza umana, come la capacità di attenzione, a causa della diffusione delle nuove tecnologie. I nuovi modi di fruizione e elaborazione delle informazioni, più veloci, interattivi e sempre meno legati alla materialità del supporto, ci permettono di mantenere la capacità di attenzione focalizzata e di sviluppare al contempo l’abilità di scansionare rapidamente molti dati e di individuare quelli interessanti, con la possibilità di utilizzarli e rimodellarli immediatamente per i nostri scopi. Completa il quadro l’idea che lo sviluppo della predisposizione a cooperare e dell’altruismo propri della natura umana sarebbe incentivato dall’interazione continua con i nostri simili e con nuovi mezzi di espressione favorita dal web.

Sulla stessa lunghezza d’onda (o quasi), un precedente breve articolo di Giorgio Fontana, che incentra il discorso su ciò che maggiormente ci interessa qui, ovvero lettura e concentrazione in rapporto all’utilizzo di internet:

http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2010-12-09/concentrazione-lettura-come-cambia-163626.shtml?uuid=AYuO2HqC

lunedì 24 gennaio 2011

Lettura e cervello: una rimediazione per le aree corticali

L’attività della lettura sembra imporre al nostro cervello l’equivalente neuronale di una vera e propria rimediazione: meccanismi cognitivi originariamente adibiti a altre funzioni, per esempio al riconoscimento di oggetti e volti, si riciclano per permetterci di codificare e dotare di significato i simboli grafici che leggiamo e interpretiamo. Questa almeno è la teoria dello psicologo cognitivo Stanislas Dehaene, che alla scoperta delle aree cerebrali coinvolte in attività cognitive come la lettura dedica studi e esperimenti, resi possibili dalle tecniche di brain imaging. Sono famosi i suoi studi sui processi neurali sottostanti al ragionamento matematico (più propriamente, a attività come la rappresentazione e concettualizzazione dei numeri e il contare), raccolti ne Il pallino della matematica.
Per quanto riguarda la lettura, nel libro I neuroni della lettura Dehaene sostiene che, nel decifrare e leggere una singola parola, occhio e cervello ne colgono subito inizio e fine, poi l’attenzione si concentra sulle sillabe centrali, infine tutto viene ricomposto: il processo ha una struttura ad albero che parte dall’intero e si ramifica arrivando a separare le singole lettere.
Nel processo sono chiamate in causa zone specifiche del cervello, in particolare le aree corticali legate alla visione e i nervi motori della fonazione (è come se interiormente pronunciassimo le parole che leggiamo). Sono naturalmente le nuove tecniche di indagine a disposizione, una su tutte la risonanza magnetica funzionale, a permettere di riconoscere sperimentalmente le aree cerebrali coinvolte e derivarne precise conclusioni: si individua così l’attivazione di siti corticali specifici identici negli uomini di diverse lingue e culture, in particolare la visual word form area (VWFA) situata sulla corteccia occipito-temporale, l’intera area del linguaggio parlato nell’emisfero sinistro e la regione dell’elaborazione fonologica del planum temporale.
Lasciando ora da parte la precisa individuazione delle aree cerebrali coinvolte, per la quale vi rimando al recente articolo di Dehaene et al. segnalato in calce, dove tra l’altro si trovano anche interessanti dati sperimentali su fenomeni di expertise legati alla lettura e sulla competizione tra diverse funzioni delle stesse aree corticali innescata dalla necessità di essere utilizzate per compiti differenti, quel che mi affascina maggiormente del complesso processo della lettura è questa ipotesi della sua nascita cerebrale legata al riadattamento di circuiti neurali preesistenti.
Grazie alla plasticità del cervello, imparando a leggere (da bambini o anche da adulti) adattiamo i neuroni per riconoscere volti e forme a riconoscere le forme artificiali delle lettere dell’alfabeto e a cogliere significati astratti in quelle forme. Si tratta insomma della riconversione di funzioni cerebrali preesistenti e molto generali per lo svolgimento di una funzione nuova. Bolter e Grusin direbbero che si tratta di un’autentica rimediazione.

Stanislas Dehaene, Il pallino della matematica, 2001
Stanislas Dehaene, I neuroni della lettura, 2009
Stanislas Dehaene, Felipe Pegado, Lucia W. Braga et al., How Learning to Read Changes the Cortical Networks for Vision and Language, 2010,
www.sciencemag.org

sabato 22 gennaio 2011

The Blogger's Dilemma




Pratiche di lettura e supporti tecnolgici

Non si può istituire un parallelismo diretto tra evoluzione dei supporti e evoluzione delle pratiche di lettura corrispondenti. Sarebbe infatti quantomeno riduttivo individuare la causa di un mutamento di modalità cognitive soltanto nel cambiamento dei supporti tecnologici di cui ci serviamo nella loro messa in atto. 
Certo, è innegabile che molte caratteristiche delle modalità attuali di fruizione di contenuti sul Web indicano l’esistenza di pratiche di lettura alle quali saremmo ricorsi molto meno se avessimo avuto sotto il naso soltanto supporti cartacei. In effetti ci sono particolari tecnologie alle quali i nostri sistemi cognitivi si adattano particolarmente bene, permettendoci di svolgere al meglio attività come la lettura, appunto, e quindi non sembra del tutto sbagliato parlare di coevoluzione dei sistemi culturali/ tecnologici e i nostri sistemi cognitivi: sicuramente esiste un reciproco condizionamento dei nostri meccanismi cerebrali e degli artefatti tecnico-culturali che produciamo per implementarli e che allo stesso tempo diventano veicoli di un nuovo utilizzo delle nostre stesse abilità. Con la lettura e la tecnologia di Internet sembra di assistere proprio a questo: le nuove modalità di fruizione di testi e immagini, dove moltissimo materiale a disposizione si accompagna a modalità di presentazione veloci e sovrapposte a distrazioni di ogni tipo, producono negli utenti una vera e propria modifica della pratica di lettura che si prestava al testo scritto su carta stampata, fissato e stabile sotto gli occhi del lettore, pronto per ricevere tutta la sua attenzione. Leggere, sul Web, diventa nella stragrande maggioranza dei casi un’attività veloce e superficiale, volta a scremare i contenuti per individuare i punti chiave dei testi e decidere se ritenerli interessanti o meno, o una rapida rassegna dei testi per scansione, volta alla ricerca di elementi  specifici all’interno del mare di risultati generati dalle nostre query al motore di ricerca preferito.  
Ci sono parecchi studi su questo fenomeno della modifica del modo in cui leggiamo on-line, ad esempio Jakob Nielsen nel suo How Little Do Users Read cita i lavori di Weinreich et al. che illustrano i risultati sperimentali dei loro studi sui modi empirici in cui il Web è utilizzato dagli utenti: viene fuori che gli utenti di una pagina web leggono in media al massimo il 28% del contenuto testuale, e in genere non dedicano più di 4,4 secondi a ogni 100 parole. Segue la ovvia conclusione che a una tale velocità si associa un basso livello di comprensione, livello che cala ulteriormente durante le operazioni di skimming e scanning
Questi risultati non indicano però la perdita della capacità di leggere con concentrazione un testo, concentrandosi sul significato, ma semplicemente la diffusione di pratiche alternative di lettura, funzionali all’esigenza di orientarsi e capire quali sono i contenuti che ci interessano nell’abbondanza di apparati testuali in cui di questi tempi ci muoviamo. Vista così, la situazione appare già molto meno drammatica: le pratiche di utilizzo delle nostre capacità cognitive che mettiamo in atto sono funzionali ai compiti che dobbiamo affrontare e agli strumenti che il contesto ci offre, acquisire abilità di scrematura e scansione non significa perdere le capacità di concentrazione e comprensione. Queste riflessioni suggeriscono che diverse pratiche di lettura, da alternarsi a seconda dei mezzi e dei tempi che abbiamo a disposizione, possono convivere egregiamente nel nostro cervello come nella nostra cultura. Per questo sostengo che gli allarmismi siano fuori luogo e soprattutto che non sia l’evoluzione tecnologica recente la causa dell’emergere di nuovi modi di leggere: la mescolanza ibrida di diverse pratiche di lettura non deve essere attribuita alla nascita del web, ma è qualcosa di precedente, che esisteva già quando i soli supporti possibili per il testo scritto erano quelli cartacei. Probabilmente i mezzi tecnologici ora a disposizione hanno soltanto accelerato l’emergere e il diffondersi di pratiche di lettura del tipo skimming e skanning, ma non le hanno create imponendole ai nostri meccanismi cognitivi. Al contrario, le possibilità latenti di utilizzi di questo tipo delle nostre capacità di lettura sono state accresciute e portate all’attuazione dai nuovi supporti tecnologici.
Riflettendo sul rapporto tra lettura e testualità elettronica, Roger Chartier evidenzia giustamente come “la lunga storia della lettura” mostri con forza “che le mutazioni nell’ordine pratico sono spesso più lente delle rivoluzioni delle tecniche e spesso sfasate rispetto a queste. Dall’invenzione della stampa non sono derivate immediatamente nuove maniere di leggere. allo stesso modo, le categorie intellettuali che associamo al mondo dei testi perdureranno di fronte alle nuove forme del libro”.
Non è quindi possibile parlare di un rapporto causale deterministico tra supporti e pratiche di lettura. L’approccio vincente per la comprensione della doppia evoluzione in atto consiste nel distinguere i due tipi di cambiamento - da un lato quello tecnologico dei supporti, dall’altro quello cognitivo dei modi di leggere - e nel concentrarsi sulle pratiche di lettura, se l’obiettivo è rendere conto della compresenza attuale delle diverse pratiche attuabili grazie alla tecnologia senza perdere in profondità, parlando di sostituzioni e cancellazione di abilità là dove invece si registrano evoluzioni e ampliamenti di possibilità.
Jakob Nielsen, How Little Do Users Read, www.useit.com

Roger Chartier, Lettori e letture nell’era della testualità elettronica, www.text-e.org

mercoledì 19 gennaio 2011

Remediation: in che rivoluzione viviamo, e con che mezzi?

Secondo David Bolter e Richard Grusin, tra vecchi e nuovi media ci sarebbe un rapporto di rimediazione: le tecnologie di cui ci serviamo come supporti per le nostre attività di fruizione e produzione di contenuti informativi si evolvono per così dire le une sulle altre, i nuovi media non si sostituiscono ai vecchi ma ne rimodellano le forme e le caratteristiche in chiave diversa. Al contrario di quanto affermano i sostenitori di varie leggende metropolitane e miti modernisti, secondo i quali le tecnologie digitali, Internet, l’e-Book  e simili starebbero rivoluzionando il mondo dell’informazione e soppiantando progressivamente mezzi presto obsoleti come televisioni e libri, Bolter e Grusin fanno notare le analogie e i punti di continuità tra vecchi e nuovi media, le caratteristiche dei primi che i secondi riprendono ma anche i tentativi dei vecchi mezzi di stare al passo con i tempi e adeguarsi alle forme e alle modalità di presentazione delle informazioni delle nuove tecnologie. L’esempio più semplice e efficace per capire di cosa sto parlando è quello del rapporto tra la televisione e Internet: è innegabile che Internet in buona parte si ispira al modello grafico televisivo, soprattutto in relazione ai pattern visivi utilizzati, mentre le reti televisive, a loro volta ispirate dalla nuova concorrenza, riprendono sempre più spesso i modi di presentazione di immagini e informazioni  del web (più finestre aperte contemporaneamente sullo schermo, informazioni diverse dai contenuti veicolati in modalità video che scorrono sotto forma di testi in sovraimpressione e cose del genere). È rimediazione anche il rapporto che intercorre tra il cinema dei fratelli Lumière e le nuove computer graphics, come lo è la relazione di continuità tra i rotoli di papiro, il libro cartaceo e l’e-Book.
La rimediazione non andrebbe dunque vista come una trasformazione radicale e definitiva delle forme di trasmissione di contenuti testuali/ audio/ video, che seppellisce tutti i precedenti prodotti della tecnologia umana in nome della digitalizzazione, quanto piuttosto come una rivoluzione morbida, dove le modalità di trasmissione e fruizione di più mezzi diversi sono sempre continuamente riprese e rivisitate in chiave nuova e sopravvivono in un’attualità dilatata. Niente si sostituisce completamente a qualcos’altro, annullandolo, ma tutto evolve in un interscambio continuo di forme.
In effetti Bolter e Grusin insistono parecchio sulla competizione tra media vecchi e nuovi, che secondo loro sarebbe il motore dei processi di rimediazione, io invece preferirei parlare semplicemente, allo stato attuale, della compresenza  di diverse pratiche tecnologiche che traggono ispirazione l’una dall’altra per migliorare le proprie prestazioni. Quello che mi sembra emergere dall’osservazione della realtà attuale è infatti una sorta di collaborazione, più o meno consapevole, tra i vari supporti, che non fanno altro che scambiarsi continuamente forme di organizzazione e presentazione dei contenuti. Solo grazie a questo interscambio, in fondo, un nuovo mezzo acquista progressivamente caratteristiche proprie, e si arriva così a definirne l’identità e il ruolo specifico all’interno delle pratiche tecnologiche, sociali e culturali umane.

Jay David Bolter, Richard Grusin, Remediation: Understanding New Media, 1999