lunedì 31 gennaio 2011

Utenti, lettori e autori


Roland Barthes, nel saggio La mort de l’autor del 1968, anticipa la concezione della lettura come esperienza cumulativa e combinatoria. “Un testo è fatto di scritture molteplici, provenienti da culture diverse che intrattengono reciprocamente rapporti di dialogo, parodia o contestazione; esiste però un luogo in cui tale molteplicità si riunisce, e tale luogo non è l’autore, come sinora è stato affermato, bensì il lettore. Il lettore è lo spazio in cui si iscrivono, senza che nessuna vada perduta, tutte le citazioni di cui è fatta la scrittura, l’unità di un testo non sta nella sua origine ma nella sua destinazione […].” La lettura diventa quindi il luogo in cui i testi acquistano un senso,un senso plurale e mobile come i processi di conferimento di significato dai quali emerge. Il lettore è inteso come “quel qualcuno che riunisce in uno stesso campo tutte le tracce di cui è costituito lo scritto”, e “prezzo della nascita del lettore non può essere che la morte dell’autore”.
Barthes distingue anche tra testi realistici, che offrono al lettore significati chiusi, non manipolabili, e testi scrivibili, che rendono il lettore un produttore, incoraggiandolo a estrapolare e creare significati.

L’attualità della concezione di un lettore libero rispetto al testo è innegabile, viste le trasformazioni attuali del nostro rapporto con la cultura scritta, legate al trionfo dei supporti elettronici. Possiamo già dire di muoverci in un contesto fatto di testi scrivibili, manipolabili, utilizzabili, inseribili a piacere nelle diverse cronologie dei contenuti delle nostre riflessioni e ricerche. Come sottolinea Roger Chartier “la rappresentazione elettronica dello scritto modifica radicalmente la nozione di contesto e il processo stesso della costruzione di senso”: sciogliendo il legame tra il testo scritto e un unico supporto materiale “dà al lettore, e non più all’autore o all’editore, la padronanza della composizione, della suddivisione e dell’apparenza stessa delle unità testuali […].”

Nonostante Barthes non intendesse affatto profetizzare la civiltà del web 2.0, quanto piuttosto fare osservazioni sulla situazione culturale e editoriale del suo tempo, le sue riflessioni della seconda metà del XX secolo sono utilizzatissime oggi per descrivere la nostra realtà di lettori digitali.
Ci sono tuttavia alcuni punti di distanza tra la sua analisi e la situazione attuale, punti che vale la pena prendere in considerazione. Prima di tutto, nel mare del web in cui navighiamo (e davvero qui siamo il marinaio di Neurat, costretto a riparare la barca rimanendoci sopra e senza interrompere la traversata) ha più senso parlare di lettori, al plurale, che di singolo lettore; nello stesso istante in cui un utente fruisce di un testo sul web, quando ne fornisce il link o nel momento in cui ne utilizza i contenuti per scriverne sul proprio blog, molti altri utenti stanno probabilmente facendo lo stesso in diverse direzioni. Il luogo descritto da Barthes in cui la molteplicità di senso del testo si riunisce diventa quindi esso stesso un luogo plurale. Inoltre, l’ampliamento del ruolo dei lettori/ utenti e delle loro possibilità di azione sui testi non coincide necessariamente con la morte della figura dell’autore: anzi, con nuove forme e modalità, l’autorevolezza degli autori dei testi capaci di costruirsi una credibilità (processo complesso, al quale andrebbe dedicato un discorso a parte, in cui sono in gioco innumerevoli variabili culturali, storiche e sociologiche) può rimanere intatta anche in un contesto in cui tutti diventano produttori di informazione, se non addirittura uscire rafforzata dal confronto con l’abbondanza di fonti creative alternative considerate meno attendibili.

Roland Barthes, La mort de l’autor, 1968, trad. it. di B. Bellotto, La morte dell’autore, in Il brusio della lingua, Einaudi 1988

Roger Chartier, Lettori e letture nell’era della testualità elettronica, 2001 http://www.text-e.org

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